Illustrazione ed editoria scolastica

Il rapporto tra illustrazioni e testi scolastici

Un approfondimento critico del rapporto tra illustrazione ed editoria scolastica, sia a livello concettuale che per quanto riguarda l’uso pratico delle illustrazioni professionali nei testi scolastici.

Il contributo è stato scritto da Alessandro Baldanzi, che ringraziamo e adattato dalla redazione di Ampa.

La collaborazione tra il mondo delle parole e quello delle immagini è una risorsa educativa fondamentale per stimolare processi cognitivi straordinari per lo sviluppo del pensiero metaforico e della sensibilità estetica ed emotiva. 

Avere a disposizione un patrimonio di immagini di qualità serve, quindi, a guardare e pensare sé stessi, gli altri e il mondo con maggior lucidità e chiarezza, avvalendosi di una certa tensione estetica e bellezza. È in questa chiave che si colloca l’illustrazione, in questo preciso caso, rivolta e utilizzata all’interno di testi scolastici di ogni materia.

Illustrare significa “dare lustro”, evidenziare, illuminare, cioè mettere in evidenza l’importanza di qualcosa, al fine di favorirne la comprensione andando ben oltre la funzione decorativa ed esornativa.

Paola Pallottino, nel suo volume “Storia dell’illustrazione italiana”, definisce illustrazione solo ed esclusivamente:

ogni multiplo ottenuto tramite la riproduzione a stampa di un artefatto di natura grafico – pittorica commissionato dall’industria editoriale e pertanto reperibile nei relativi prodotti come libri e periodici.

Senza dilungarci troppo circa la storia dell’illustrazione e degli illustratori, potremmo affermare che, attraverso le immagini illustrate e quindi “sceneggiate”, è possibile attivare un processo educativo logico in grado di confluire in una sequenza di racconto e di pensiero fluido. I codici iconico, verbale e grafico andranno a costituire un rapporto straordinario tra gusto e conoscenza, favorendo la comprensione del testo e la successiva rielaborazione.

È in quest’ottica che va contemplata l’immagine posta all’interno di un libro di scuola, che negli ultimi 30 anni ha subito vere e proprie mutazioni sia estetiche che di contenuti fino ad entrare di diritto in un “mercato” editoriale strutturato e solido. Il libro di testo non può che rappresentare una conseguenza di un sistema di rapporto tra scuola e ragazzi dove questi ultimi subiscono più che partecipare.

Rispetto al rapporto tra illustrazione e testi scolastici, si tende a utilizzare le immagini non per avere una buona trasmissione del sapere e quindi una risposta qualitativa, ma per aumentare le informazioni relative alle materie di studio, quindi per avere una risposta di tipo quantitativo.

Dalla fine degli anni ’80 ai giorni d’oggi, nella gran parte dei casi, i libri scolastici appaiono più ricchi di immagini, tabelle e mappe concettuali. In questo modo, il loro design grafico assomiglia più ad un catalogo che a un vero e proprio testo. Pieno di colori, rimandi, informazioni, collegamenti visivi, illustrazioni di vario genere intersecate a riferimenti iconografici talvolta disconnessi tra loro, il libro di scuola non ha saputo “innalzarsi” sia a livello di testi che di contenuti iconici.

Purtroppo, infatti, dal mondo dell’infanzia fino a quello della scuola, le immagini complesse, cariche di stimoli ed alta qualità estetica, sono rare, mentre prevalgono figure banali e incapaci di suscitare curiosità, stupore, stimolando l’interpretazione.

Sempre alla ricerca di una multimedialità debole e sterile, nel tentativo di inseguire modelli derivati dal mondo dell’elettronica, semplificando pertanto i contenuti, il testo scolastico deve ripensare ad un modello che consenta una maggiore articolazione dei ragionamenti, collegamenti e riflessioni senza aumentare informazioni e dati preconfezionati, evitando di organizzare i contenuti al posto degli studenti.

L’editoria scolastica si è trovata nelle condizioni di aumentare di gran lunga l’offerta con prodotti molto simili tra loro (anche graficamente) e con poca innovazione, anche se nel comparto della scuola primaria la ricerca didattico pedagogica risulta viva e complessa.

La situazione è complessa perché, se fino a gli anni novanta si usufruiva del testo scolastico come unico riferimento di conoscenza al pari delle varie enciclopedie, adesso la situazione è più frammentata. La cultura è, infatti, distribuita in situazioni e contesti diversificati: bambini e ragazzi sono immersi in un mondo di informazioni precostituite, social network, narrazioni multimediali che vanno dai fumetti al cinema, dai video games ai cartoni animati.

Parlare di illustrazione per l’editoria scolastica prevede, quindi, un pensiero ad ampio respiro, dal momento che comprende diverse fascie di età. Dalla scuola primaria alle superiori il salto è lungo e non si può certamente generalizzare, ma, da illustratore, posso almeno condividere il mio desiderio.

Vorrei che, attraverso le illustrazioni, si potesse sviluppare negli studenti un pensiero autonomo, utile per lo sviluppo di un pensiero critico, obbiettivo fondamentale della scuola, ma soprattutto per la vita.

Vorrei, quindi, che le illustrazioni diano la possibilità di accedere ad un pensiero libero e immaginativo, che vada ben oltre gli stereotipi, per educare il lettore alla capacità di guardare e ragionare, con viva attenzione per i particolari, per sviluppare un pensiero estetico ricco e articolato e poter vedere il mondo da molteplici punti di vista e riflettere su di esso.

L’importanza fondamentale delle illustrazioni nei libri di testo va anche ricercata nel rendere informativa e comunicante quella parte di pensiero che non può essere espressa con le parole, quel settore del contenuto semantico che la parola non riesce a puntualizzare e deve cedere all’immagine la capacità di descrivere il particolare.  

Approfondimento sul pensiero umano logico e analogico

Il pensiero umano funziona attraverso processi logici e analogici, in modo che sia i linguaggi sia gli apparati simbolici utilizzati dalla mente in ambito formativo diano come risultato la formazione di una identità e di “un saper vivere” che vada oltre la sfera dell’apprendimento e della trasmissione di conoscenze fine a sé stessa.

Differenza tra processi logici e analogici

Per Jean Piaget, i processi logici consisterebbero nelle operazioni di seriazione, calcolo, misurazione, confronto, classificazione, con funzioni pragmatiche e organizzative, imponendo l’applicazione di un’inferenza, vale a dire la costruzione e comprensione di un procedimento simbolico che, partendo da una premessa possa giungere ad una conclusione.

I procedimenti analogici sono, invece, trasversali, casuali, pluriversi, suggerendo processi di invenzione, creazione, cambiamento, responsabili di operazioni mentali legate alla sfera dell’affettività e estetica. Tale pensiero produce libere associazioni, sviluppa e comprende metafore, intendendo con tale parola, un traslato, una figura retorica che consiste nell’uso di un vocabolo per indicare un concetto differente da quello che tale vocabolo esprime solitamente. Per esempio “nell’occhio del ciclone” oppure “la chiave del mistero”, ecc ecc

La metafora non viene pertanto usata solo a fini estetici, ma permette di alleggerire un discorso troppo lezioso e di difficile comprensione permettendo di comprendere concetti complessi utilizzando un pensiero analogico. In quest’ottica, la metafora sarà sempre “trasgressiva” rispetto al modo consolidato e canonico di dire qualche cosa.

Secondo Marleau – Ponty tale linguaggio introduce ad un livello superiore di costruzione di conoscenza, rielaborazione e rappresentazione del mondo servendosi del linguaggio delle parole unito a quello delle immagini.

Sempre per Marleau – Ponty, l’essere umano tenderebbe a trasformare il percepito in coscienza attraverso la ricostruzione simbolica del percepito, cercando e creando le parole che possano nominare e descrivere l’oggetto della percezione. In tale processo, la trasformazione da oggetto in parola subirà uno scarto, una perdita di informazioni o per meglio dire una mutazione delle informazioni stesse.

Cosa è la surriflessione

Dall’Enciclopedia di Diderot fino ai contemporanei libri scolastici, stiamo correndo il rischio di scambiare le cose, il mondo, l’identità stessa delle persone con testi che pretendono di descriverli oggettivamente.

Passare dalla riflessione alla surriflessione (“surreflexion” termine coniato da Marleau – Ponty) attraverso l’associazione del linguaggio delle immagini con quello delle parole, senza privilegi alcuni, consente di mantenere viva la memoria e la coscienza del passaggio simbolico, della metamorfosi che avviene quando la rappresentazione oscilla tra la dimensione percepibile e il protocollo verbale.

Risulta evidente, quindi, che la collaborazione tra i due linguaggi, logico e analogico, può avvenire in maniera esaustiva solo con una lingua raffinata e complessa, da una parte, e un utilizzo delle immagini che non sia banale e stereotipato dall’altra.

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