Approfondiamo una delle specializzazioni più ampie e affascinanti dell’editoria scolastica con l’intervista ad Alessandra Veronese, responsabile ufficio iconografico e licenze di Edizioni Atlas.

Cosa significa iconografia in generale e poi nello specifico nell’editoria scolastica?
È lo studio, la classificazione, l’analisi delle immagini e dei simboli visivi: delle opere d’arte, dei documenti storici ma anche dei media, perché dal Novecento in poi si parla anche di media. Ci aiuta a leggere le immagini cercando di riconoscere elementi ricorrenti e comprendere il significato che si cela dietro. Per esempio, nell’arte sacra ci sono molti simboli: la veste azzurra della Madonna, o in ambito storico Carlo Magno con i simboli del potere nel Medioevo – la corona, il globo, lo scettro.
Avvicinandoci ai giorni nostri si passa ad altri strumenti che offrono simboli diversi, come la fotografia e i media di massa. Copertine di dischi, locandine di film importanti, stili particolari come litografie o le serigrafie di Warhol.
Tutto questo ricostruisce un immaginario collettivo e ha un impatto sulla collettività.
Nell’editoria scolastica questa disciplina fa un passo indietro, cioè arriva un po’ nella fase precedente all’analisi. L’ufficio iconografico ha un senso più operativo e progettuale: decidiamo come vogliamo realizzare il prodotto, quale tipologia di immagine è più adatta, se selezionarla, produrla o farla realizzare. Il tutto con la consapevolezza che saranno inserite in un prodotto educativo.
La parte iconografica deve chiarire, spiegare concetti, stimolare l’attenzione, essere un supporto per stili di apprendimento differenti.
L’ufficio iconografico lavora anche prima, non solo dopo. Parliamo con autori, redattori, ricercatori, illustratori, designer, e infine teniamo conto anche degli aspetti legali relativi all’uso delle immagini.
Per esempio, in un libro di matematica possiamo decidere di realizzare un’illustrazione accattivante in stile comics per avvicinare lo studente. La parte creativa è molto bella, ma poi c’è anche quella normativa, che richiede competenze molto specifiche, come quelle dei ricercatori iconografici.
Che cos’è il diritto d’autore e perché è così importante, in generale e nei libri scolastici, specialmente per immagini e contenuti digitali?
Il diritto d’autore, spiegato in modo semplice, è ciò che tutela le opere creative e chi le ha realizzate. Per opere creative intendiamo una vastissima gamma: quadri, fotografie, testi, illustrazioni, software, videogiochi, progetti architettonici, musica, performance teatrali.
Tutto ciò che è creativo potenzialmente è coperto dal diritto d’autore.
Questo diritto porta con sé altri diritti: diritto alla paternità (voglio che sia riconosciuto che quella fotografia l’ho scattata io), diritti di sfruttamento economico, di riproduzione. È un vero cubo di Rubik. Quando si usa un’immagine o si commissiona un disegno per un libro educativo, è importante fare attenzione.
In editoria scolastica, il diritto d’autore è la parte più complessa del mio lavoro. Dobbiamo rapportarci con SIAE, agenzie fornitrici d’immagini, enti che tutelano gli artisti. È una parte centrale e molto presente nel nostro lavoro.
Ci racconti il contesto di un tuo post su Matisse, pubblicato su LinkedIn?

Il post nasce da un fatto tecnico, ma rilevante per chi lavora ogni giorno con le immagini. Fino al 31/12/2024, Matisse era coperto da diritti d’autore. La Fondazione Matisse ne aveva affidato la gestione alla SIAE in Italia. Ogni volta che volevamo usare un’opera nei nostri libri, dovevamo fare molti passaggi, rapportandoci con la fondazione, con i musei, con la SIAE. Era complesso e, in un contesto come quello scolastico dove i tempi sono stretti, ci causava molta pressione. Il post era ironico ed è stato molto apprezzato proprio perché
Al termine del 2024, la sensazione di liberazione è stata condivisa da tanti colleghi del settore.
Ora Matisse è uscito dai diritti, ma ovviamente altri autori entreranno a far parte di questo sistema, e ci saranno nuove avventure.
Ti occupi anche di etica nell’intelligenza artificiale. Perché ti sei formata su questo tema?
Mi sono formata perché sono una codicologa di formazione, esperta di manoscritti medievali. Sei anni fa sono entrata nell’editoria scolastica e il mio panorama è cambiato.
Quando l’AI è esplosa, la mia prima reazione è stata di ostilità.
Poi ho voluto conoscerla, capirla, studiarla. Ho frequentato un master in diritto della rete e un corso di perfezionamento in etica dell’AI. È un campo molto interessante e attuale.
L’etica dell’AI studia come questi strumenti tecnologici possano essere sviluppati e utilizzati responsabilmente, rispettando diritti umani e valori sociali. È cruciale, soprattutto per chi lavora in contesti educativi con studenti e studentesse giovani, spesso minorenni. Purtroppo gli stereotipi li inventiamo noi, quindi
Serve consapevolezza: l’AI può creare forse meglio diffondere bias cognitivi e stereotipi.
Usarla consapevolmente è anche una forma di tutela per l’utente finale. Per chi lavora in editoria, è fondamentale anche per tutelare il diritto d’autore. Bisogna conoscere come lavora l’AI per usare immagini, testi, contenuti in modo corretto. Gli editori stanno cercando di capire come muoversi in questo nuovo contesto.
Nel concreto, com’è cambiato il tuo lavoro con l’intelligenza artificiale?
L’AI è molto pervasiva. Può intervenire in molte fasi del lavoro editoriale: dalla redazione dei testi alla creazione di esercizi, dalla produzione di materiali personalizzati a quella di bot interattivi per studenti e insegnanti.
Sulle immagini, parliamo soprattutto di AI generativa. Può creare da zero partendo da descrizioni testuali o modificare immagini esistenti. Ma in una casa editrice scolastica il prodotto finale deve essere efficace, normato, affidabile. Abbiamo quindi definito linee guida: usare l’AI solo in certi contesti, mai per eventi reali o storici, per non generare confusione tra immagini reali e artificiali.
Vogliamo che sia sempre dichiarato quando un’immagine è generata da AI.
Per esempio, abbiamo usato l’AI per illustrare oggetti non familiari ai ragazzi, come una cappelliera di inizio ‘900.
C’è anche chi fa sperimentare gli studenti con le immagini generate. Che ne pensi?
Sì, lo trovo molto interessante. Il prompting è la parte più stimolante perché richiede consapevolezza: sapere dove si vuole arrivare, pensare le fasi del lavoro. Aiutare i ragazzi a fare questo significa aiutarli a ragionare, a focalizzarsi, a costruire un percorso. Il risultato finale può essere appagante, ma è il processo che conta davvero.
Come funziona nel concreto il tuo lavoro quotidianamente?
Io lavoro in una casa editrice abbastanza piccola che fa parte di un gruppo grande. Questo ha degli enormi pro che in certi momenti corrispondono anche a degli enormi contro. Per cui, chi come me, sta in una posizione un pochino di snodo tra i diversi attori, riceve tantissimi stimoli. In questo preciso momento dell’anno, per esempio, stiamo lavorando a tanti progetti. E quindi la mia giornata tipo va dal verificare alcuni aspetti contrattuali con la ricercatrice iconografica, a cercare profili di illustratori ai quali far fare delle prove, e fare delle ricerche iconografiche per supportare i miei colleghi grafici che stanno magari progettando dei progetti.
E in più, in tutto questo, ci si relaziona con gli autori per avere da loro feedback, redattori per qualche parte creativa che magari ragionandoci insieme esce meglio. Mi confronto spessissimo con la produzione: le immagini alla fine vengono stampate, e la resa in stampa deve tenere in considerazione, oltre all’aspetto ovviamente creativo e funzionale di dati, anche le criticità date dall’oggetto libro.
E poi ci sono frequenti incontri di allineamento con le mie colleghe del cosiddetto “tavolo iconografico”, dove ragioniamo invece su livelli un pochino più alti: SIAE, diritti, esperienze, criticità che condividiamo e alle quali troviamo una soluzione. Insomma, non ci si annoia. Questo è il lato bello, perché rischierebbe di diventare forse un lavoro ripetitivo, se fosse troppo circoscritto. Invece, in questa maniera resta un lavoro stimolante e dinamico. A volte bisogna fare attenzione a schivare così tanti stimoli, perché ci sono tanti strumenti culturali da gestire.





Cosa ami di più del tuo lavoro?
Del mio lavoro mi piace moltissimo avere a che fare con le persone. Una volta individuato il progetto, le caratteristiche del prodotto finale che noi vorremmo andare a realizzare, poi appunto ci si relaziona con tante persone a tantissimi livelli. Mi piace moltissimo intrattenere rapporti con i miei collaboratori: ricercatori, ricercatrici, illustratori, illustratrici, designer, graphic designer, fotolitisti.
Mi piace tantissimo la parte creativa, quindi quella di progettazione generale del corso sul fronte iconografico.
Adoro preparare dei bozzetti orribili da condividere con gli illustratori. Questa è la parte che mi entusiasma di più, perché ha una ricaduta molto diretta sugli studenti e sulle studentesse. Quando commissioniamo questa tavola, oppure quando decidiamo di affidare questo incarico a questo illustratore o a quell’illustratrice mi immagino dove vogliamo arrivare, cosa vogliamo ottenere. Dall’altro lato, penso che sia anche una bella missione quella di voler arrivare un po’ a tutti. E quindi credo che
la parte visiva di cui mi occupo potrebbe aiutare anche chi ha qualche difficoltà in classe, per i più disparati motivi.
Cosa cambieresti, in generale anche dell’editoria scolastica?
Forse ci sono dei momenti di picco di lavoro dove si concentrano alcune questioni molto complesse che mi piacerebbe non fossero così ri-accorpate. Questo è sistemico nell’editoria scolastica. Noi abbiamo sì la possibilità di lavorare ai volumi con un certo lasso di tempo, però il nostro lavoro non è mai “progetto un libro e proseguo monoliticamente fino alla fine”.
Ci sono tantissimi stimoli che arrivano dall’esterno: dalla propaganda, dalle adozioni, dalle norme ministeriali che cambiano, dalle “parole calde” di cui la scuola ha bisogno. Quindi dobbiamo produrre, dobbiamo assecondare questi bisogni e necessità. Quando tutte queste cose avvengono in un lasso di tempo ridotto, la situazione è piuttosto stressante. Allora qui interviene anche la capacità di lavorare bene in gruppo e di supportarsi.
Una cosa che mi dispiace del panorama nel quale mi muovo io adesso è che molti dei miei collaboratori sono collaboratori esterni, con scarsa stabilità. Mi piacerebbe molto che, anche per i collaboratori esterni, che nel nostro caso sono tantissimi, ci fosse la possibilità di avere un lavoro un pochino più continuo.
E poi ho un desiderio:
mi piacerebbe tantissimo fare una campagna di raccolta di libri usati dai ragazzi, per vedere che cosa ci fanno.
Per rispondere a domande del tipo: “Che cosa ci fanno i ragazzi sulle mie immagini, sui miei disegni”. “Ci scrivono sopra?”, “Gli fanno i baffi?” Mi piacerebbe tantissimo scoprirlo. Credo che non sia proprio un incarico da casa editrice, quanto più da ente di ricerca, ma sarebbe una bella esperienza.
Cosa consigli a chi desidera lavorare nel settore iconografico in editoria scolastica?
Sicuramente serve una ampia cultura generale di base. Perché i ricercatori magari con il tempo si specializzano, ma all’inizio devono lavorare su tutti i fronti. Bisogna avere una buona cultura di base, bisogna comprendere bene il testo, bisogna riuscire a relazionarsi bene con il committente. Quindi bisogna coltivare lo sguardo, andare alle mostre, guardare LinkedIn, guardare Instagram in maniera critica.
Serve educare gli occhi al bello.
Questi sono proprio dei principi di massima, generali per tutti. Dopodiché, serve la formazione. Secondo me, la cosa più importante, in generale, ma nello specifico nel mio lavoro, che è appunto un lavoro di snodo tra tante esigenze e istanze, è capire che cos’è il libro, com’è fatto, come si produce, chi ci sta dietro.
Spesso i programmi universitari come quelli dai quali io vengo non riescono a entrare così nello specifico.
Quindi bisogna attivarsi anche in maniera autonoma per sapere dove ci si muove e avere idea del contesto. Se si contatta un editore per offrirsi e candidarsi, è necessario studiare bene il sito e vedere che cosa fanno, andare a guardare i canali YouTube dell’editore per vedere se quello è ciò che ci interessa. Poi, nello specifico sulle immagini, bisogna sapere che non sono per niente semplici.
bisogna ricordarsi che le immagini non sono
oggetti neutri e sono una grande responsabilità.
Trasmettono molto più di quello che si vede a uno sguardo. Soprattutto quando il destinatario sono ragazzi di 11-13, 14-18 anni. L’immagine che noi scegliamo, soprattutto quando non è l’immagine idilliaca, il tramonto sull’isola di Ischia, ma è l’immagine di una classe, di un gruppo di ragazzi che interagiscono crea un immaginario negli studenti e nelle studentesse che la ricevono. Ed è bello che tutti quanti si sentano rispecchiati in qualche maniera dalle immagini che noi proponiamo. E se noi lavoriamo con immagini stereotipate, non raggiungiamo tutti e possiamo urtare qualche sensibilità.
Secondo te, i libri di carta resisteranno nei prossimi decenni?
Secondo me i libri di carta resisteranno perchè sono affiancati dai libri digitali. Perché il nostro prodotto, il libro, arriva a tutti. E non tutti studiano e apprendono nello stesso modo. Io apprendo benissimo sulla carta. Mio figlio, per esempio, apprende benissimo con i video e con la lettura automatizzata.
Quindi resisteranno, secondo me perché ognuno, testando uno strumento o l’altro, troverà piano piano la modalità più corretta o più funzionale alle proprie esigenze.