Parliamo di benessere, comunità, manualità fine, tecnologia e molto altro con Alfonso d’Ambrosio.
Alfonso d’Ambrosio è dirigente scolastico presso l’Istituto Comprensivo Statale di Lozzo Atestino, formatore certificato Arduino CTC ed esperto di STREAM, robotica educativa, coding, mondi virtuali, making lab, e-leadership, innovazione didattica attraverso il tinkering. Fa anche formazione per dirigenti scolastici, ambienti di apprendimento, IoT e microcontrollori. Buona video lettura!
Che cos’è la felicità interna lorda e perché hai iniziato a parlarne a scuola?
La felicità interna lorda è un concetto che sposta l’attenzione dal prodotto interno lordo, una misura economica, al capitale sociale ed emotivo di una comunità. Si tratta di valorizzare aspetti intangibili come il piacere di fare un’attività, le relazioni e il lavorare in gruppo. Nella scuola, che tende a certificare e misurare tutto, questo approccio può sembrare strano, perché la felicità è relativa: ciò che rende felice una persona può non valere per un’altra. Tuttavia, numerose ricerche, anche di premi Nobel, dimostrano che
Abbiamo introdotto un questionario chiamato QBS (Questionario Benessere Scuola), certificato e validato, per monitorare il benessere degli alunni e degli insegnanti. Il questionario misura lo “star bene” a scuola in cinque aree, analizzando aspetti come le relazioni con i compagni e con gli insegnanti, il rapporto con la famiglia e il senso di appartenenza. Per il personale scolastico, invece, valutiamo l’impatto delle nostre azioni sulla comunità scolastica, con l’obiettivo di migliorare il benessere collettivo.
In che modo migliorare il benessere a scuola impatta sulla comunità scolastica?
Un ambiente scolastico curato influisce positivamente sul benessere. Ad esempio, le aule tematiche che utilizziamo sono progettate con colori adeguati, materiali naturali come il legno, assenza di riverberi e spazi arricchiti da piante. Ma non si tratta solo di aspetti fisici: creiamo spazi di relazione significativi. Gli insegnanti, ad esempio, possono rimanere a scuola dopo l’orario per svolgere attività personali o professionali, come utilizzare tapis roulant in sala insegnanti o cucinare in una cucina attrezzata. Quando le relazioni funzionano e si percepisce un senso di appartenenza, i docenti tendono a formarsi di più, progettare con maggiore coinvolgimento e vivere una migliore conciliazione tra vita lavorativa e personale. Questo migliora non solo il clima scolastico ma anche l’efficacia delle attività didattiche.
Come si collocano queste azioni concrete rispetto al concetto di felicità interna lorda?
Abbiamo notato che dove le relazioni sono positive e dove c’è attenzione alle persone, si sviluppa un maggiore capitale sociale. Questo si traduce in docenti più motivati, studenti più sereni e famiglie più coinvolte. Piuttosto che concentrarci su ciò che non funziona, lavoriamo per valorizzare ciò che funziona, creando squadre e comunità scolastiche coese.
Come è nato questo approccio e su cosa ti sei formato per elaborare queste proposte?
L’approccio nasce dall’osservazione e dall’apprendimento continuo. Negli ultimi sei anni abbiamo studiato esperienze di scuole e università in tutto il mondo, utilizzando dati ed evidenze scientifiche. Ci siamo ispirati a pedagogisti come Montessori, Don Milani e Mario Lodi, e a ricerche come quelle di John Hattie, che ha identificato fattori che impattano sull’apprendimento, come la collaborazione tra docenti e il rapporto insegnante-studente. Ad esempio, lavoriamo per classi aperte, una pratica che ha un forte impatto positivo. Organizziamo giornate pedagogiche durante le quali sospendiamo le lezioni per autoformarci e promuoviamo attività di peer teaching, in cui i docenti condividono le proprie competenze. Inoltre, abbiamo introdotto palestre creative per favorire la progettazione condivisa tra insegnanti.
Quali azioni innovative hai sviluppato?
Molte delle nostre azioni si rifanno a esperienze consolidate, ma alcune le abbiamo sviluppate ex novo. Per esempio, utilizziamo la tecnologia in modo mirato e invisibile, integrandola con laboratori manuali di falegnameria e cucito. Promuoviamo la scuola diffusa in estate, per evitare interruzioni troppo lunghe dell’apprendimento e sperimentiamo la valutazione narrativa, eliminando i voti numerici nelle verifiche intermedie, per concentrarci su feedback significativi.
Come conciliare le nuove tecnologie con attività manuali e relazionali?
La tecnologia è uno strumento, non un fine. È efficace solo se integrata in una progettazione chiara. Usiamo la robotica educativa, la produzione di video e testi, ma diamo grande spazio alla manualità e alla relazione umana. Insegniamo falegnameria, cucito e attività pratiche per sviluppare competenze trasversali e costruire ambienti di apprendimento significativi.
L’obiettivo è sempre creare un equilibrio tra digitale e analogico, promuovendo un benessere globale per gli studenti.
Come valutate l’impatto delle vostre innovazioni?
Monitoriamo costantemente il feedback di studenti, famiglie e docenti. Ad esempio, sulla valutazione narrativa abbiamo chiesto agli studenti se preferissero mantenere questa modalità, e l’80% ha risposto di sì.
Riguardo ai principi della scuola-azienda, si può conciliare il benessere psicofisico con le esigenze del mondo concreto?
Iniziamo con una risposta chiara, forse a tratti irriverente, ma necessaria. Negli ultimi anni, tra fondi come i PON e il PNRR, molte scuole si sono trovate a dover sviluppare progetti in tempi strettissimi, affidandosi talvolta a fornitori esterni. Questo ha portato a un eccesso di tecnologie inutili. Prendiamo l’esempio delle aule immersive: spendere 20-30 mila euro per simulare il mare o un bosco, quando possiamo portarci i bambini realmente, è una scelta che trovo discutibile.
La tecnologia può avere un ruolo educativo se è integrata in attività scientifiche e creative, come il tinkering, dove i bambini smontano e rimontano oggetti tecnologici per imparare. Strumenti come visori 3D sono spesso poco utilizzabili, perché mancano le competenze per sfruttarli. Per quanto riguarda l’intelligenza artificiale, essa offre opportunità straordinarie, ma deve essere affrontata in modo etico, scientifico e formativo, mostrando ai bambini come funzionano gli algoritmi e come riconoscere fake news o valutare informazioni online. La tecnologia non è un fine, ma un mezzo da inserire in percorsi che valorizzino matematica, scienze e storia. La scuola deve tornare a essere un luogo in cui gli insegnanti sono preparati, selezionati e capaci di adattare strumenti tecnologici al contesto educativo.
Qual è il tuo rapporto da dirigente scolastico con i libri scolastici? Come li scegli e cosa manca nell’editoria scolastica?
L’editoria scolastica ha punti di forza ma anche lacune. Negli ultimi anni, alcuni libri hanno abbassato l’asticella, semplificando i contenuti e usando linguaggi troppo banali, soprattutto nei testi scientifici. D’altra parte, ci sono libri eccellenti scritti da persone che hanno sperimentato e vissuto davvero la scuola. I libri migliori sono quelli che riescono a raccontare esperienze concrete e significative. Penso che i testi scolastici debbano evolversi, diventando più dinamici e in dialogo con le esperienze reali delle scuole. Non devono per forza essere scritti da insegnanti, ma è fondamentale che tra gli autori ci siano persone con esperienza pratica in classe. Quanto al dibattito cartaceo-digitale, il libro digitale funziona meglio nella secondaria, ma non può sostituire il cartaceo nella primaria.
Ad esempio, avere libri cartacei a scuola e versioni digitali a casa potrebbe essere utile, ma richiede dispositivi adeguati per tutti, e questo oggi non avviene. L’editoria deve innovarsi, includendo argomenti come la robotica o Arduino, senza aspettare che diventino tendenze solo perché “entrano nei libri di testo”. I docenti devono essere figure culturali capaci di andare oltre il libro di testo, creando percorsi autonomi e integrando contenuti nuovi.
Perché è così difficile cambiare davvero il sistema scolastico, nonostante le tante riforme?
La difficoltà principale è il silenzio di chi non crede più nella possibilità di cambiare. Non è un problema di chi non ha voglia di fare, ma di chi si è arreso, scoraggiato dalla burocrazia o dalla stanchezza. Durante il lockdown del 2021, ricordo di aver portato personalmente a scuola ragazzi con disabilità che non avevano altri mezzi.
Servono persone che credano nel valore della scuola e che abbiano il coraggio di agire, sia dall’alto che dal basso. Un dirigente scolastico, ad esempio, può fare molto: entrare in classe, supportare gli insegnanti, valorizzare il loro lavoro, non per giudicarli, ma per dire “grazie”. Cambiare il sistema significa creare un modello di felicità e benessere, costruendo insieme una scuola che dia senso e motivazione al lavoro di tutti. Non servono solo risorse economiche, ma persone disposte a mettersi in gioco per il cambiamento.
Alfonso d’Ambrosio ha scritto con Barbara Letteri il libro “Dirigere la scuola – Guida per dirigenti scolastici e insegnanti”, una guida per applicare il “fare scuola in un’ottica innovativa”.