Che valore ha il tempo con bambini e bambine? Come si fa ad amare la noia? E come parlare con rispetto? Abbiamo approfondito il valore della relazione educativa con Chiara Mancuso, educatrice, pedagogista, esperta nello 0-6 che lavora come consulente per le famiglie e per chi lavora nel settore educativo. Ha pubblicato con Edizioni Erickson il libro: “Il Valore del Tempo nella Relazione Educativa. Pensieri in Azione”. Trovi la video intervista in fondo alla pagina.
Cosa vuol dire dare valore al tempo con i bambini e le bambine?
Potrei riassumerlo in una parola: rispetto. Dare valore al tempo con i bambini e le bambine significa saperli rispettare. La domanda è se siamo in grado di dare questo tempo anche a noi stessi, di poter stare in ascolto di questi bimbi che vivono nei nostri contesti scolastici ed educativi. Lavoro da circa 16 anni nei contesti 0-6 e vedo una trasformazione della parola “tempo.” Sembra che un tempo più veloce risponda alla moda del momento. Preferisco fermarmi e andare controtendenza, ridare la possibilità ai bimbi di conoscersi, sentirsi, acquisire competenze emotive che sono il motore per avere una soddisfacente prestazione.
I bambini non acquisiscono competenze dall’oggi al domani, serve tempo, allenamento, fare esperienza. L’esperienza non la contrappongo ad attività o laboratori, ma è intrisa di un aspetto legato al lungo termine, e io devo essere parte attiva in questa esperienza. Vuol dire che l’altra parte mi offre fiducia nel farcela. Questo vale sia a livello personale che professionale, non l’ho solo letto sui libri, ma l’ho vissuto. Infatti, nel mio libro con il sottotitolo “Pensieri in azione” cerco di rendere reali queste parole. Darsi tempo, fermarsi, capire come queste parole possono diventare azioni quotidiane.
I bambini e le bambine hanno, spesso, tanti stimoli, attività e possibilità. Come farli appassionare nuovamente al valore della noia?
La noia sembra terribile, ma possiamo darle un’altra accezione. Siamo noi adulti che accompagniamo i bambini a dare valore alle parole.
Se un bambino si annoia, va bene. Forse il bisogno che non si annoi è dell’adulto, non del bambino. Mi piace lavorare con domande riflessive. La noia può essere un momento in cui nascono idee, possibilità. Ho citato due albi illustrati che parlano di noia, “Uff” e “Ti stai annoiando, Minimoni?”, che mostrano come i bambini, cogliendo particolari, possono trasformarli in qualcosa di grandioso. Se i bambini non riescono ad annoiarsi, forse il loro vaso è stato riempito troppo. Dare un significato positivo alla noia è importante anche per imparare a guardarsi intorno.
Non serve riempire per rendere un’esperienza di qualità e non è detto che un tempo pieno sia di qualità.
Che tipo di famiglia viene da te e che richieste ricevi da parte dei genitori? Quali esigenze tratti più spesso?
Il mio è un approccio educativo, pedagogico, di accoglienza, non di valutazione clinica. Accompagno genitori disorientati davanti ai bisogni emotivi dei loro bambini. Sono informati sullo sviluppo fisico, ma manca la conoscenza di ciò che accade dentro i loro figli. A volte hanno richieste inadeguate perché non sanno a che punto siano i bambini nel loro sviluppo emotivo. Manca spesso una riflessione perché non abbiamo tempo di fermarci a pensare.
L’identità dei bambini si forma anche così. Quindi è importante fare attenzione alle parole, alle azioni. Se qualcosa non va, contestualizziamo l’azione, non il bambino. Ci sono famiglie che temono di non avere risorse, ma le risorse ci sono. Non esistono manuali d’istruzioni, ogni bambino è diverso, ogni genitore ha la sua storia. Mettiamo sul tavolo tutti gli strumenti e vediamo cosa può funzionare. Non si possono dare consigli uguali per tutti.
Il tuo lavoro ha un collegamento con il mondo scolastico? In che modo la relazione educativa viene curata o meno nel contesto scolastico?
Lavoro nei servizi 0-6, ma parliamo di sistema integrato 0-6. Ho toccato con mano anche la scuola primaria e secondaria. C’è un aspetto che accomuna tutto: la relazione educativa. È la base affinché si costruisca l’apprendimento. Ci sono competenze e posture importanti: accoglienza, ascolto, cura. Non hanno età.
La valutazione può essere educativa se accompagnata da un atteggiamento di sostegno. Essere e fare vanno in parallelo. Non si tratta solo di contenuti, ma di persone, di fiducia, di camminare insieme.
Come ti sei formata? Quali sono i tuoi riferimenti professionali e culturali?
La mia è stata una ricerca personale. Ho studiato Scienze dell’Educazione e della Formazione. Ho iniziato lavorando nei servizi, nel sostegno alla genitorialità, spazi pubblici e privati, formandomi con percorsi che mi dessero strumenti concreti. Ho approfondito il sostegno alla genitorialità, le pratiche di contatto, la psicomotricità in acqua, le competenze relazionali. Ho ottenuto una specializzazione sui disturbi del comportamento e un master in processi educativi e didattici 0-6 con Erickson, da cui è nato il libro, frutto di una tesi e di un lavoro personale e professionale. Non bisogna dimenticare che siamo persone, infatti sono anche mamma di tre bambine. Stare con i bambini non è semplice, è delicato. Mi appassiona la conoscenza, avere strumenti per essere di supporto, non sostituirmi.
Come selezioni e utilizzi gli albi illustrati nel tuo lavoro?
L’albo illustrato è uno strumento di mediazione, di unione, che esprime concetti profondi con parole semplici, mette d’accordo grandi e piccoli. Utilizzo gli albi illustrati in consulenza come inizio o fine di un percorso, per riflettere, per formazione con gruppi, per pensare alle parole e alle immagini. L’albo illustrato invita a fermarsi, cogliere particolari, non correre.