Illustrazione di Luca Poli per Studio Ampa

Sottostorie da riscoprire e studiare con Johnny L. Bertolio

Con questo nuovo appuntamento di Studio Ampa entriamo tra le pagine dell’editoria scolastica per sfogliare virtualmente Sottostorie, un libro destinato al triennio della scuola secondaria di secondo grado, insieme all’autore Johnny L. Bertolio. 

Scorri in fondo alla pagina per guardare e ascoltare la video intervista.

Cosa sono le sottostorie e qual è la proposta che caratterizza il tuo libro?

Sottostorie è un po’ la continuazione di un percorso che avevo avviato con la letteratura, con Controcanone, e che cerca di applicare quella stessa prospettiva di valorizzazione della marginalità e dell’invisibilizzazione anche alla storia. Storia intesa a livello scolastico, quindi sostanzialmente dall’anno 1000 alla fine del ’900. 

E si chiama Sottostorie perché l’idea non è più quella di rivelare interpretazioni nuove, a volte revisioniste della storia, come forse sarebbe risultata passato da un titolo controstoria o controstorie, ma proprio di vedere come, dietro quel velo che è soprattutto la storia politica e militare, i grandi eventi, le guerre, le battaglie, i conflitti, le alleanze, che spesso sono associate alla storia come se fossero l’unica cosa degna di essere studiata, in realtà ci siano individui, comunità che hanno fatto anche loro la storia, spesso anche quantitativamente sono state protagoniste in maniera molto più rilevante, che però come al solito, quando è il momento di definire cosa far studiare, cosa veramente merita e cosa no, sono finite nel dimenticatoio. Cioè che hanno sfidato, più o meno attivamente, quelle che erano le norme morali delle varie società in cui sono esistite. Questo vuol dire soprattutto: 

  • storia delle donne, non solo in Europa
  • storia delle comunità razzializzate, e in particolare penso alla schiavitù, ma non solo 
  • e storie anche delle identità o delle comunità che oggi chiamiamo queer, cioè non conformi da un punto di vista di identità di genere, orientamento sessuale. 

La proposta è restituire a queste voci marginalizzate una pari dignità di trattamento nei manuali scolastici.

La struttura del libro è ricchissima. Come hai selezionato cosa includere e cosa tralasciare?

Inevitabilmente anche quando si fa un’operazione di integrazione o di rivisitazione bisogna fare una selezione, basandosi in questo caso ovviamente sempre sulla cronologia, ma anche su questi tre pilastri che mi sono dato, anche al di là dei confini italiani ed europei, che inevitabilmente sono anche un po’ il riferimento a scuola, anche perché ci offrono poi degli appigli con il racconto dominante.

L’idea è sempre quella di fare interagire questi racconti della marginalità con quello che già si dà per scontato o che si fa molto più diffusamente a scuola. 

Quindi la selezione è stata guidata soprattutto da quell’indirizzo storiografico che nei Paesi anglofoni ormai da anni si è imposto, che è quello della storia globale.

Storia globale intesa non come storia universale, cioè da Adamo ed Eva a oggi in ogni continente che cosa è successo, ma come una operazione di valorizzazione, al di là delle comunità marginalizzate, anche quelli che sono stati i fenomeni che le hanno messe in contatto con esperienze di altri continenti. Quindi per esempio, la stessa colonizzazione che ha messo i colonizzatori di fronte alle tradizioni native che poi progressivamente hanno interagito, hanno negoziato degli spazi di resistenza o di assimilazione con il potere egemone.

Oppure, oltre ai viaggi, quelli che poi sono oggi le migrazioni, anche fenomeni come per esempio le malattie, o certi usi legati all’economia, alla finanza, cioè come la religione stessa, come anche certe idee storicamente documentabili abbiano fatto interagire comunità inizialmente lontane tra loro, se non altro dal punto di vista geografico, producendo invece dei testi o delle immagini molto interessanti su cui si può lavorare benissimo a scuola.

La selezione delle fonti

C’è stato quindi poi il lavoro sulla selezione delle fonti. Uno pensa che comunità marginalizzate, condannate, spesso vittime di sterminio, non abbiano lasciato nulla se non i documenti del potere, quindi gli atti per esempio nei processi alle streghe, o le torture che insomma l’inquisizione documentava benissimo e con grande scrupolo.

In realtà, sempre per quell’indirizzo anche di storia globale, oggi c’è tutto un lavoro di storici e storiche internazionali che, utilizzando sia le fonti del potere sia quel poco tanto che resta delle vittime, hanno prodotto tantissime edizioni e monografie ben fondate, solidamente fondate nella ricerca, e che ci hanno aperto tantissime finestre su questi fenomeni che, sì, marginalizzati dal potere e dal racconto politico-militare, ma in realtà che hanno lasciato delle tracce significative anche nella documentazione archivistica o legale o di altro tipo. 

Il libro è pensato per essere integrato ad altri testi o può essere usato in autonomia?

Il libro ha in realtà una sua dignità di trattazione anche autonoma, soprattutto alla luce del fatto che le ore di storia sono sempre più sacrificate nella definizione oraria scolastica. Si può sicuramente abbinare a una trattazione più ampia nei classici tre volumi, uno per anno, come pure a quel volume che ormai le case editrici propongono specialmente per alcuni indirizzi di scuola in cui appunto la materia è ancora più sacrificata, con magari anche solo due ore alla settimana — che è L’essenziale — cioè in un unico volume c’è il percorso dal Medioevo a oggi.

Quindi L’essenziale più Sottostorie è un ottimo abbinamento. 

Anche perché in alcune scuole, per esempio gli indirizzi tecnici o gli indirizzi professionali c’è la voglia di sperimentazione, di proporre dei percorsi che non siano rigidamente cronologici, è più affermata.

Quindi anche proprio pensando alla storia in abbinamento con l’educazione civica, o con dei percorsi tematici legati per esempio ai cosiddetti obiettivi dell’agenda 2030, quindi l’ambiente, la sostenibilità, la salute, l’istruzione, la parità di genere, e in generale le rappresentazioni plurali, sicuramente Sottostorie permette di affrontare le ore canoniche di storia anche declinandole per esempio al presente, quindi cercando di far vedere come le radici di certi fenomeni che oggi ci portiamo dietro ancora nel bene e nel male, come il razzismo, per esempio, sono ben fondate nei secoli e in tutta una tradizione di inferiorizzazione e di schiavizzazione, che appunto non è di oggi ma è di secoli e secoli fa.

Hai già ricevuto dei feedback?

Sì, molti insegnanti lo usano. A parte farlo adottare in classe, magari anche come strumento integrativo, ancillare, anche per autoformazione. Perché oggi gli insegnanti sono subissati di impegni, di corsi extra oltre, ovviamente, all’impegno regolare in classe. Quindi magari non hanno proprio sempre il tempo di andare a cercare fonti in biblioteca e trovare l’esercizio abbinato a un brano innovativo.

Quindi questo libro vuole essere una risorsa prima di tutto per chi insegna, per cercare di fare formazione e autoformazione con uno strumento familiare: il manuale scolastico.

Ovviamente con le introduzioni, gli esercizi, le domande guida e partire da questi argomenti e dalle stesse fonti che a questi si riferiscono per creare una didattica.

Perché tante informazioni ormai si trovano ovunque, su fonti più o meno affidabili e anche del web. Ma una delle cose che ancora contraddistingue il manuale, il libro scolastico, e che dovrebbe appunto renderlo originale rispetto ad altri supporti, è proprio la didattica: cioè trasformare questo sapere, queste fonti, questi brani letterari o storici o anche artistici, in attività che siano utili per creare discussioni, per creare dei collegamenti. 

La didattica è una delle cose più importanti dei libri per la scuola.

Non bisogna per forza per “aggiornare” il passato al presente nè trovare il presente nel passato e farlo risuonare con noi. 

Però è inevitabile che, se noi analizziamo certi fenomeni e leggiamo le leggi del codice penale del fascismo, per esempio, o guardiamo le categorie di persone che venivano deportate nei campi di concentramento e di sterminio, abbiamo già lì la classificazione di tutte quelle forme di discriminazione, di razzismo, di antisemitismo, che ancora oggi non sono state del tutto risolte. Quindi è bene far vedere che non si vuole leggere la storia con le lenti di una qualche non ben definita ideologia, ma 

è la storia che già lì si racconta e ci racconta qualcosa su cui dobbiamo continuare a riflettere, anche per cercare di migliorare il presente.

Hai riscontrato reticenze da parte di docenti o famiglie?

Sì, diciamo che quando affronti argomenti come può essere la storia delle donne o la storia delle comunità queer, per esempio, subito si associa questo al fatto che si vuole fare propaganda, oppure si vuole leggere il passato con degli strumenti critici che sono invece del presente. Quindi sembra che si voglia in qualche modo forzare il racconto storico o piegarlo a delle interpretazioni che non sono genuine.

E bisogna tenerne conto, anche perché poi chi insegna lavora con studenti e studentesse e anche con le loro famiglie. 

Quindi si trova magari a dover fronteggiare certe lamentele o certe segnalazioni e non è facile in questo momento affrontare in maniera serena certi discorsi.

Allo stesso tempo, tanto la storia quanto la letteratura ti mettono di fronte a dei testi, a delle biografie, a degli eventi che è difficile mettere in discussione. Cioè, di fronte a stermini di massa, di fronte a condanne, di fronte a leggi che esplicitamente invitavano, per esempio, a internare in manicomio una ragazza che non voleva sposare il marito promesso sposo, diciamo, scelto per lei dalla famiglia… è difficile poi parlare di propaganda, perché lì, diciamo, carta canta. Il testo è quello.

Inserire anche queste fonti originali è anche un modo per sostenere la necessità di questi studi, perché i testi tu non li puoi manipolare. 

Le fonti sono verificabili e si trovano, anche alcune direttamente online, su siti di governo e ministeri, e quindi sono inappuntabili. Quindi anche l’insegnamento, per quanto possa sembrare rischioso o esposto a eventuali critiche, in realtà poi ha un riscontro documentale, ed è difficile essere attaccati su questo.

L’obiettivo è rendere la didattica della storia inclusiva e consapevole, senza cercare forzature o attualizzazioni artificiali.

C’è qualche “sottostoria” che ritieni particolarmente identitaria o ispirazionale?

I tre pilastri che ho citato prima: la storia delle donne, la storia delle comunità razzializzate, la storia delle individualità queer, spesso, in alcuni momenti particolarmente delicati della storia, non solo contemporanea, si sono ritrovati a fronteggiare un potere che li discriminava tutti insieme. Quindi, a volte alleandosi, a volte in maniera autonoma.

Se noi pensiamo per esempio agli anni ’60 e ’70, cioè le lotte di liberazione sessuale o, negli Stati Uniti, le lotte per i diritti civili delle comunità afrodiscendenti, hanno visto negli stessi momenti, o insieme, o in maniera autonoma, questi gruppi anche costituirsi in organizzazioni, a volte anche armate, oppure in gruppi di autocoscienza, quindi diciamo meno istituzionalizzati ma comunque efficaci, che dimostrano come contro l’oppressione si può, e forse si dovrebbe anche, lottare insieme. 

Perché in fondo gli obiettivi da raggiungere sarebbero validi per tutti e per tutte.

Un’altra questione su cui alcuni di questi movimenti si sono schierati insieme è stato il pacifismo, di cui oggi si parla come una specie di posizione semplicemente oppositiva, cioè “contro la guerra”, punto. In realtà il pacifismo ha una storia anche teorica, filosofica, oltre che di attivismo, che non è solo legata alla decolonizzazione.

Quindi, quando pensiamo al pacifismo magari pensiamo per esempio a Gandhi, ma anche a tutta una storia di attivismo già durante le guerre mondiali. Già, per esempio, durante la Prima guerra mondiale si erano riunite all’Aia alcune femministe, guidate da quelle statunitensi, perché gli Stati Uniti ancora non erano in guerra, rischiando tra l’altro di perdere la vita in viaggio, perché iniziava a esserci anche un rischio nei trasporti, visto che gli stati erano in conflitto.

E si ritrovano per definire i punti di quella che sarà “la pace del futuro”, che saranno poi rielaborati nei famosi 14 punti del presidente americano Wilson, che si danno come guida per il futuro dell’Europa e del mondo una volta che la Grande Guerra si sarebbe conclusa. In realtà, quei 14 punti vengono da una riflessione molto più matura e molto più lunga, che aveva proprio in quella riunione dell’Aia del 1915 la sua prima e concreta elaborazione.

Così come lo ritroviamo nella Seconda guerra mondiale da parte di quei partigiani che rifiutavano le armi e cercavano, con grande difficoltà, di attuare una resistenza civile pacifica. E nel secondo dopoguerra, per l’Italia, con un filosofo e pensatore molto importante, Aldo Capitini, che è stato quello che ha organizzato la Marcia della Pace di Assisi, che ancora oggi si svolge ogni anno.

Quindi vedere come anche questo pensiero alternativo abbia avuto una struttura teorica importante nei testi, che si coniugava anche con altre pratiche, come per esempio il vegetarianismo, ci fa vedere come certe discussioni che oggi sono ancora all’ordine del giorno abbiano le loro radici nel passato.

Un passato che dovremmo imparare a rispolverare e a rileggere, perché ci dà veramente tanti strumenti ancora per discutere e per affrontare, il presente.

Com’è stato il lavoro editoriale su questo testo, rispetto ad altri tuoi libri?

Abbiamo un po’ adattato il progetto di Controcanone alla storia. Ovviamente, in un testo storico, le fonti e i brani di storia hanno un trattamento un pochino diverso rispetto alla letteratura, perché anche la didattica deve adattarsi. Però la struttura sostanzialmente è simile.

Quindi, queste linee del tempo che accompagnano e introducono ogni capitolo, con la divisione tra gli eventi principali sotto, cioè quelli già noti come le guerre, i trattati, le alleanze e sopra, invece, le biografie, i documenti, in generale gli eventi o fenomeni che riguardano i gruppi di cui si parla poi in ogni capitolo.

E c’è ovviamente una cura molto particolare per le carte, cioè per le mappe, perché trattandosi di fenomeni non così noti e non così battuti nell’editoria scolastica tradizionale, fare le carte è stata un’impresa. Per fare un esempio: in un manuale tradizionale ho giustamente l’elenco dei campi di concentramento, soprattutto per la deportazione ebraica, ma non c’è generalmente una specificità per i Rom, per i Sinti, per gli omosessuali, per le lesbiche che erano classificate tra le “asociali”.

Quindi si è dovuti andare a cercare in manuali in lingua, quindi tedesco o inglese soprattutto o nei siti che conservano, in questo caso, la memoria, per esempio del genocidio romani. O per altri fenomeni storici, come quello della stregoneria, o per le deportazioni dei nativi negli Stati Uniti, che sono stati costretti a lasciare le loro terre native, indigene, e spostarsi anche a centinaia di chilometri in territori spesso ostili, dove poi sono morti o sono sopravvissuti in pochissimi, i cosiddetti “sentieri delle lacrime”.

Sicuramente l’aspetto cartografico è stato molto importante e l’editore ha anche dovuto fare un investimento, perché le carte costano. 

Possiamo dire: farle nuove più che adattarle. Però sono molto contento, perché ovvio, per i fenomeni storici la carta è fondamentale: perché insieme al documento testuale o iconografico ti fa vedere concretamente che cosa è successo, anche lì sostenendo poi il racconto del profilo.

Questo libro sarebbe esistito senza le risorse digitali?

La parte digitale del libro riguarda soprattutto risorse che non si possono fruire diversamente. Quindi presentazioni, videolezioni, i PowerPoint di alcune parti, o alcuni spezzoni di film di ambientazione storica che possono essere utilizzati come risorsa integrativa rispetto alla trattazione del profilo.

E l’altro discorso, che invece riguarda l’uso di programmi basati sull’intelligenza artificiale, è invece nel libro. Nel senso che, da ormai un paio d’anni, ora anche tra gli studiosi prevale l’idea di utilizzare questo strumento in maniera guidata. Cioè creare degli esercizi in cui lo studente viene invitato a utilizzare, con dei prompt, questi strumenti, in particolare la chat. 

E c’è una cosa che a me piace molto: la costruzione di immagini. Quindi ci sono degli esercizi che suggeriscono, per esempio, sulla base di indizi e spunti, di costruire un’immagine e vedere il risultato e confrontarlo con quello dei compagni, perché poi succede che magari in tempi diversi gli stessi prompt diano un risultato diverso. Allo stesso tempo, verificare, come una volta si faceva con Wikipedia, se chiedendo qualcosa di circostanziato, non generico, alla chat, la risposta è anche lì storicamente accurata. Se per esempio creo un’intervista immaginaria tra Gandhi e un rappresentante del governo inglese nel momento in cui l’India rivendica la propria indipendenza nazionale, che cosa viene fuori?

La chat mi restituisce un’intervista credibile, o mi restituisce un prodotto completamente infondato? 

Sulla base degli eventi che ho raccontato, delle informazioni che tu hai acquisito, dovresti essere in grado di valutare se quell’intervista è verosimile oppure è basata totalmente su fake news, diremmo oggi. Quindi ecco: esercizi di questo tipo, che sono anche dei piccoli compiti di realtà, se vogliamo.

Ringraziamo Johnny Bertolio per la sua disponibilità e per averci fatto viaggiare tra le Sottostorie.

Buona video intervista!

Se vuoi saperne di più sul libro, visita il sito dell’editore.

L’illustrazione di copertina è firmata da Luca Poli

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